Rebus: origami parallelo

[Perfetto il quadrato di carta rosa,

nelle mie mani nodose stona un po’]

Aveva sognato di dare seguito al progetto [piego in diagonale e riapro, piego e riapro] a cui aveva lavorato tanto.  Lo aveva ideato e condiviso [piego a croce parallela ai lati del quadrato e riapro] eppure il grande ragno gliene toglie, ora, la paternità, come se bastasse dire “mio!” per avere ragione. E come se bastasse a intrappolarla, l’aracnide tesse la grande tela [piego a soffietto triangolare] fatta di un racconto parziale, di piccole bugie, omissioni ad hoc, a cui le brave api operaie scelgono di credere.

Insoddisfatto, ancora e ancora, con le sue molte zampette barcolla [capovolgo e piego di nuovo] sotto il peso della sua profonda infelicità, che quella storia è ben lontana dalla perfezione [avvolgo con la carta il dito e fermo con una piccola pressione ad un angolo] e si rivelerà presto per il bluff che è. E lui lo sa.

[Prende forma, lieve, la farfalla di carta]

Così il grande ragno resta appeso, pesante, alla bava delle menzogne e al suo bisogno di dominio.

[L’origami è completo e leggero resterà, piccoli sorrisi per chi lo vedrà)

“Se devo spiegarti la mia buona fede, ho perso in partenza” (cit.)

(soluzione: 2, 11)

L’attesa attiva

È l’attesa che è attiva oppure l’attesa attiva qualcosa?

Se succede la prima, poi di conseguenza può succedere la seconda.

Nell’ultimo anno ho atteso tanto (troppo) un lavoro e mentre ne aspettavo uno non sono stata con le mani in mano, come si dice. Ho pulito le scale del web, scrivendo marchette (il più dignitose possibile, ma sempre marchette erano), ho ricostruito sedie rotte, ho allestito vetrine, dato ripetizioni di inglese, cucito fiorellini di stoffa, cucinato per una cena privata, fatto pulizie, inventato un premio letterario, scritto racconti e qualche verso, ho disegnato gatti e gente che si ama, aiutato un amico con dei file excel e altri amici con una mostra di fotografia e poi ho fatto qualche altra cosa che ora nemmeno ricordo bene.

Ho sperato in incarichi diversi, mandato tanti (troppi) CV, ho nutrito il sospetto che le agenzie di lavoro in realtà siano agenzie di clic e quando era sazio mi sono detta: “bene, e adesso?” per poi farmi profilare, come si dice, da una nota agenzia per Tate e Maggiordomi (mi hanno fatto un profilo esclusivamente come Tata, che pare i maggiordomi siano solo maschi), in attesa che qualcuno mi affidi i propri bambini. Io lì di clic ne ho fatti molti, speriamo serva…

Sono di nuovo in attesa. Nel frattempo un lavoro è arrivato e sono tornata a fare la cameriera di sala, come ho fatto in gioventù, in un ristorante 6 giorni a settimana, fino a settembre, poi si vedrà…

Ho imparato l’ascolto attivo, tanto tempo fa. Ora l’attesa attiva.

Vedi? Ti parlo ancora di lentezza. Di una lentezza piena di cose da fare e fatte. La lentezza dell’attesa.

Dimmi parole di speranza: posso ambire ad altro?

Le “bufale” colpiscono solo in estate?

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Parafrasando il titolo di un interessante film, mi chiedo: le “bufale” colpiscono solo in estate? La risposta non è che io la sappia veramente ma in estate, più che nel resto dell’anno, mi capita di fare caso e di occuparmi di notizie inesatte, di controinformazione o di vere e proprie truffe dell’informazione. Dichiaro qui una profonda simpatia per le bufale vere, regine di lentezza, quelle il cui latte è (o dovrebbe essere) il principale ingrediente delle mozzarelle, mentre quest’altro tipo di bufale stimola altri sentimenti come la passione per l’indagine, per esempio, soprattutto quando si fa del terrorismo alimentare, e a volte addirittura la rabbia perché sono convinta che se mangiassimo tutti consapevolmente, noi e il mondo tutto staremmo meglio. Le corrette informazioni, quindi, ci sono indispensabili!

Avevo letto Il dilemma dell’onnivoro di Michael Pollan e, da poco, Contro natura di Dario Bressanini e Beatrice Mautini quando, per una serie di fortunati eventi sono stata coinvolta nell’#OperazioneFalsiMiti promossa da Merendineitaliane.it e Ore17 nonché da YourBrand.Camp e Alfemminile.com. Un nugolo di veri Myth-busters segnala le “bufale” alimentari che trova in rete, sottopone ad un team di esperti i dubbi che esse fanno sorgere, pubblica falso mito e relativa opinione competente e invita i lettori a fare altrettanto. Mi sembra una coincidenza meravigliosa! Io partecipo volentieri, mi sa che ne leggeremo delle belle!

Se ti andasse di partecipare sappi che se la tua “bufala” venisse ritenuta migliore potrai partecipare con un amico ad un evento a EXPO 2015, che è il luogo dove di alimentazione ci si informa, si discute, si dimostra, si condivide, si progetta.

Segui i link e dì la tua, magari ci vedremo a Expo…

Questo post nasce da una vera conversazione e collaborazione con Ore17 su own your conversation

THE FOG IN ME

A noi nati con un piede in montagna e un altro nel lago, viene raccontato che la nebbia della Pianura (Padana) è infida, “da tagliare con il coltello” (cit. Nanni Loy), che sì, densa è densa, ma perché aggredirla con un’arma?

“Preferisco vederci chiaro” è un’espressione cara. Poi la vita ti mette alla guida di un ipovedente e rivaluti ogni cosa, ogni espressione, con occhi diversi, i suoi.

Racconti di foschie e nebbie, nel mio cammino. Ho amato ogni passo. E quando i piedi avanzano, invisibili persino ai miei stessi occhi, rallento, ascolto, pori attenti e vibrisse all’erta, felina e anfibio, e una traiettoria o un luogo dove fermarmi li trovo lo stesso.

Ironico che dalle valli prealpine io abbia vagato fino a San Francisco, luogo di imponenti nebbie, tutt’altro che immobili, dipinte ad olio, spesse, materiche.

4′ 30” di video, che avrai già visto, forse, standone lontano. Ora calatici, immergitici, che tanto fuori il sole ti aspetterà. Lo ha fatto sempre anche con me.

NEL SOGNO DI DESERTO E SPECCHI

credit to Gennaro on http://www.juzaphoto.com/galleria.php?l=it&t=1311752

credit to Gennaro Manna on http://www.juzaphoto.com

Nel sogno di deserto e specchi,

alata di speranza si girerà una cicogna

a cercare un ramo, una sporgenza.

L’arsura della mancanza sfinente.

Io ramo, io goccia e presenza,

miraggio svanente, richiamo insufficiente.

Non pago abbastanza per sognare?

Così scrivevo nella notte, che le parole si allineavano da sole e del sole sognato sentivo la forza. Ho cercato l’immagine impossibile e l’ho trovata su Juza, una sicurezza.

NON PARLARE DI FRETTA AL PANE

Non parlare di fretta al pane
nella madia, bollicina su bollicina,
custodisce anche il mio umore.
Quello scrocchio, c’è voluto coraggio,
per una cocchia un moggio di grano
e di papaveri che non ho colto.
Il panaio bandì la fretta
e gli angeli e i santi nelle poesie degli altri
vestita di lento li guardo passare.
notte di forni accesi

notte di forni accesi

BUCKET LIST

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balancing rocks di Bill Dan – foto mia

English version following.

La bucket list si compila con le cose da fare prima di morire, con variabili personali e io ho potuto spuntare una voce dalla mia, compilata mentalmente tanti anni fa: andare in bicicletta sul Golden Gate. Felice. Grazie a chi l’ha reso possibile. Grazie anche al Ponte che si è lasciato attraversare e alla bici che si è lasciata pedalare da me.

Tornando verso casa, quel giorno, sulla mia strada ho incontrato un uomo tutto intento a mettere in equilibrio delle rocce. Forse esserne capace era nella sua bucket list. Ha messo in splendido equilibrio svariati massi, in molte pile. Mi sono fermata a parlare con lui. Dedica la sua vita di pensionato a quella attività e ricava guadagno dalla vendita dei filmati che documentano le sue abilità. Fa parte di un gruppo di impavidi equilibratori di rocce che si ritrova più volte l’hanno per una specie di festival della roccia in equilibrio. Nell’ultimo dicembre erano più di trecento. Ma lui è considerato un Maestro. Bill Dan è il suo nome e qui potrai vedere un filmato che rende bene l’idea di quanto tempo, quale dedizione, quale concentrazione gli occorrano. La sua è un’arte rara, comprensibile a pochi. Non si tratta solo di abilità, è, secondo me, qualcosa di più. O io ci vedo qualcosa di più. Qualcosa che c’entra con la lentezza e la saggezza o la saggezza della lentezza o ancora con la lentezza della saggezza?

Ora che la mia bucket list ha un’altra voce spuntata (una già spuntata da tempo era far volare un aliante, ma questa è un’altra storia, per un futuro post), so che dovrei accontentarmi. Mi sono applicata con attenzione ad imparare l’arte di ringraziare (le persone, il mondo, me stessa), altra cosa difficile; credo inoltre di aver capito il significato vero del ringraziamento quindi spero di non dare dimostrazione di ingratitudine verso il mondo se oggi, seppure al rientro dal mio fantastico viaggio, dopo un colloquio di lavoro nel quale speravo molto ma andato male, dico: porcavaccazozza! Qualcosa dentro di me si sta disperando, si sta strappando i capelli, piange e sbatte la testa contro il muro. Qualcos’altro, tuttavia, guarda queste rocce in equilibrio e si calma.

Non ho le competenze necessarie per ricoprire il posto di lavoro per il quale sono andata a colloquio, le premesse erano forvianti, diciamo, e non so se ho quel qualcosa in più che occorre per mettere in equilibrio delle rocce. Ho altre competenze, altre cose in più. Me lo dico. Me lo riconosco e mi ringrazio per quelle ma, riporcavaccazozza, mi occorre un lavoro retribuito. SUBITO!

Intanto scrivo e continuo a ringraziare per quello che ho. Vuol dire che mi dovrò accontentare di ancora meno. Mentalmente allineo aeree pietre (l’altra parte continua a sbraitare, la sento anche con i tappi alle orecchie) e cerco qualcosa di nuovo che riporti al numero costante di 10 la mia bucket list. Tu ne hai una? La proporzione tra voci spuntate e voci ancora da spuntare ti soddisfa, a questo punto della tua vita? Pensi come me che dovremmo avere sempre almeno 10 desideri da esaudire?

In a bucket list we write down things we wanto to do before we die, with personal variations, and I had the chance to tick something off mine, mentally written many years ago: to ride a bike to the Golden Gate. Delighted. Thank you to be ones who made this possible. Thanks to the bridge too, that let me cross it, and to the bike that let me ride it.

Riding home, that day, on my way back I met a man busy balancing some rocks on top of one another. Maybe being able to do that was in his own bucket list. He put various rocks in many, beautifully balncied piles. I stopped to talk to him. He dedicates hi life of retirement to this activity and he gets a profit by selling small films recording his skills. He’s part of a group of other brave rock-stackers who gather many times a yeas for a sort of rock-balancing festival. Last december it was their 300th one. But he is considered a Master. His name is Bill Dan and here you can watch a video that properly shows how much time, dedication and concentration he puts in his work. This is a rare art, undertandable to a few. It’s not just about skill, in my opinion, but something more. At least I see something more. Something about hisslowness and his wisdom, or with his wisdom’s slowness, or maybe with his slowness’ wisdom?

Now that I ticked something else off my bucket list (another one, already crossed off, was to fly a glider, but that’s a story for another post), I know I should be satisfied. I put a lot of effort in learning the art of saying thanks (to people, to the world, to myself), another difficoult thing; I also believe I understand the true meaning of thank, so I hope not to sound ungrateful to the world if today, after my return from my amazing trip, after a work interview I was looking forward to, but gone wrong, I say: porcavaccazozza (bad word). Part of me is feelingdesperate, pulling her hair, banging my head against the wall. While the other part of me looks at these rocks balanced on top of one another and calm herself.

I don’t have the experience necessary to do the job I interviewed for, I could say I was misled, and I don’t know if I have what is necessary to keep my own rocks in balance. I have other things, other experiences. I tell myself. I acknowledge it and I’m grateful for it, but ri-porcavaccazozza (again!). I need a waged job. NOW!

In the meantime, I write and keep being grateful for what I have. It means I will have to settle for less. I line up rocks in the air in my mind (the other part of me keeps yelling, I can era even if with plungs in my ears) and look for something new to get my bucket list number back to 10.

Do you have one? Does the difference between ticked-off points and the ones yet to tick-off sutisfies you, at this point in your life? Do you think, like me, that we should always have 10 wishes to fulfill?

DELL’AMORE E DELLA PIZZA

pizzaChe poi una parte, perché le regalano un viaggio per San Francisco, va a stare con suo fratello (quello americano) e la sua famiglia, porta con sé un po’ di pasta madre sfidando tutte le regole internazionali sull’importazione/esportazione di beni alimentari e un cuore spiegazzato.

Disfa la valigia, trova la pasta madre (che chiameremo It, come il buon Stephen King concederà) un po’ sofferente, quasi completamente fuoriuscita dal barattolo di vetro in cui era rimasta rinchiusa per troppe ore, la rinfresca come ogni bravo panettiere farebbe e si dedica poi ad appianare le pieghe del cuore.

Se la felicità è cosa effimera, la pizza non lo è e raggiungere lo stato di grazia passando da cose molto pragmatiche e terrene, credimi, non è poi così difficile.

Così incomincia a preparare l’impasto necessario per fare pizza un po’ per tutti. Per acquistare gli ingredienti necessari si reca in un supermercato (quelli americani piccolissimi misurano il triplo di quelli grandi italiani), si diverte un mondo con suo nipote a cercare ogni ingrediente camminando per miglia tra uno scaffale e l’altro (dove la gente smaltisce in questo modo le troppe calorie ingerite comprandone di nuove) nella cattedrale del family packaging, ride come una matta, torna a casa (quella americana) e tra un abbraccio e una chiacchiera sente che il cuore sta ringiovanendo, sta avendo una sorta di naturale lifting, in cui ogni spiegazzatura precedente, piano piano, sta scomparendo.

Avere quindi tutta la famiglia (quella americana) riunita intorno al tavolo a mangiare le molte pizze uscite dal mega-super efficient forno, godere della compagnia di ciascuno e dei racconti di tutti, sarà stereotipo, ma assicura la felicità. Credimi, questo non è il racconto del Mulino Bianco, è solo il racconto di una possibilie felicità fatta di pizza homemade.

Una poi vorrebbe anche che l’oceano che divide l’America dall’Italia fosse improvvisamente più piccolo, giusto per avere facilmente anche la famiglia italiana con lei, ma sa che non si può avere tutto nella vita e si organizza, intanto, per un nuovo impasto.

AEROPLANINI PREMONITORI

origami mattutino

origami mattutino

Fuori le violette avevano smesso da poco di colorare il giardino e l’essenzialità delle calle riempiva già gli spazi verticali nelle aiuole illuminandole di carnoso bianco. Dentro, aeroplanini di carta incuranti del meteo e della stagione, dei check-in e dell’ok dalla torre di controllo, tracciavano rotte attraverso la stanza. Partivano dalle mani di ciascuno degli invitati al mio compleanno per planare nelle mie, uno alla volta, indicandomi con un’unica parola scritta sulle ali, la persona alla quale avrei dovuto rilanciarlo. Ad ogni mio re-invio, un nuovo aeroplano mi tornava. Le ideatrici di quel gioco contavano sul fatto che io avrei capito tutti gli indizi. Trovare le parole giuste era stata la loro sfida all’unico mio neurone sopravvissuto al degrado degli anni.

La rete dei voli di carta si intesseva, quella sera, e l’allegria crescente annunciava l’epifania, l’ultima tappa della sfida.

Il neurone solitario, tuttavia, non aveva colto quanto anche la scelta di piegare fogli di carta per farne aeroplanini fosse esso stesso un indizio. Povero lui, si muoveva in un brodo di emozioni forti cercando di rimanere funzionante.

L’ultimo elementare origami recava i soprannomi delle mie figlie i cui volti, improvvisamente apparsi nel mio campo visivo, tradivano una emozione da primo giorno di scuola, da vigilia di Natale, da ora prima del saggio annuale di danza. Insomma il gioco non si è concluso con un nuovo indizio, bensì con un nuovo inizio. Nelle mie mani, infatti, è rimasto un biglietto aereo A/R per San Francisco, partenza a breve, praticamente a ore. Inizierà così, inaspettatamente, un nuovo viaggio.

Per dare spazio alla preparazione della piccola valigia, alla organizzazione minima di chi resta a casa, per incanalare le energie verso i prossimi 14 giorni, mi occorre forse un po’ del tuo sostegno. Da dove cominciare?

P.S. Quando ho scelto il nome per questo blog, quando ho deciso che era il mio regalo a me stessa per il mio mezzo secolo, non avrei potuto immaginare di essere così sintonizzata con quanto chi mi ama stava preparando per me.

WITH OR WITHOUT FILTER? IT DEPENDS

ciambelline di ricotta e zucchero vanigliato

ciambelline  ricotta and vanilla sugar

Is my life with or without a filter? It depends, I would say.

I love the sieves. Do you know those big flour sieves? Or those little colored plastic ones with which the children play on the beach? Here I am. I could say to be an honorary fellow of the sieves. Although I love organic flour, in fact, I love the action of scouring the white one (“0”) and also powdered sugar, when I bake my cakes. In the preparation of these ciambelline, for example, I sifted ricotta, flour and potato starch, and then the icing sugar. The white clouds that I produced made me smile (yes, even here I speak of slowness and smiles), because the slow settling of the white powder on the work surface in the kitchen makes me happy.

In the garden, then, the activity that I love the most, is raking, which is basically another filtering operation. Before the eyes of the memories, the strong mountain peasants view of my childhood, with huge rakes collecting the freshly cut grass, which went from pannier to pannier to the stables for the winter. They used to comb the fields, spreading in the air the balsamic aroma of fresh hay, long before some smart entrepreneur turned this into a great business, with hay baths, which are good, expecially for those people allergic to pollen.

I’m not avoiding the subject that I’ve chosen for this post, basically, I’m just talking about filters. At 50 years old reached today (I’m 50, now!), did I learn the art of diplomacy, in which the use of filters is essential? Not really. And here’s the thing. If one of my goals for growth is to cause as little damage as possible, I have to learn to use those filters , porca vacca! (oops! Here I’m slipping again). More and more often I hear that the older you get, the more you become intolerant. Therefore, it would seem that the use of filters is inversely proportional to age, usually. I have to look at the matter from a different point of view, then.

bello scatto di Image Studio

nice shot by Image Studio

Did you think I would give definitive answers? Hmm, I haven’t learned yet, you will not find them in this blog. I can tell you though that reversing the thing a little, I note that filters can both let the best part of the matter go through, or keep it to let the waste go. Did you ever think about it in these terms?

The gold diggers scour water or sand seeking the nugget and translators, like them, select from a text the most suitable meaning (speaks beautifully at the end of this article, Alessandro Iovinelli). There is another example much more pleasure-seeking,a  filter that retains the best part and lets the waste go: you see it in this picture, where the the unusually shaped container on which are placed the mozzarella is actually a “scolamozzarelle”, while the bowl below collects the milk that comes from the buffalo pearls.

Nothing solved, at the end. I therefore continue to wonder what now I’m asking you, who have read this far: if we ever learn to be diplomatic, would we have learned to keep the best or the worst part? Will we apply, then, the art of diplomacy? Well, for now I’ll go eat a mozzarella, since it’s almost lunch time.

Read this post in Italian.